Meccanismi di c-Abl e potenzialità terapeutiche
nel Parkinson
GIOVANNI ROSSI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XV – 11 novembre 2017.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
DISCUSSIONE/RECENSIONE]
La presenza di oltre un
milione di casi nell’America del Nord, con un’incidenza annuale di circa 300
nuovi casi per 100.000 abitanti, molto vicina a quella registrata in vari paesi
d’Europa, ci dà un’idea delle proporzioni epidemiologiche del problema
costituito dalla malattia di Parkinson, correntemente considerata una patologia
neurodegenerativa progressiva dei nuclei della base caratterizzata dalla
presenza di inclusioni citoplasmatiche (corpi di Lewy)
nei neuroni dopaminergici degeneranti della pars
compacta della substantia nigra
mesencefalica.
Molto si sa della patogenesi
della malattia di Parkinson, ma ancora poco si conosce dell’eziologia,
particolarmente delle forme sporadiche. I sintomi motori, quali la
bradicinesia, l’acinesia, il tremore di 4-6 Hz a riposo, la rigidità muscolare
cerea e la postura flessa, rispondono bene ai trattamenti disponibili, mentre i
frequenti segni e sintomi non motori, quali la disfunzione del sistema
autonomo, il declino cognitivo, l’apatia, i disturbi del sonno e la
depressione, sono spesso più problematici da trattare. Per questo sono di
grande attualità gli studi sui meccanismi molecolari, che si spera possano
condurre a terapie modificanti il processo patologico e non limitate ad
ottenere un compenso temporaneo delle disfunzioni.
Sebbene – come si diceva –
l’eziologia della malattia di Parkinson sia poco conosciuta, i meccanismi dello
stress ossidativo da lungo tempo sono
stati implicati nella patogenesi. Le multiformi e divergenti cascate di
segnalazione a valle dello stress
ossidativo hanno rappresentato delle dure sfide per i ricercatori che cercavano
di identificare un componente centrale delle vie biochimiche indotte dallo stress ossidativo che causi la
neurodegenerazione nella malattia di Parkinson. Ora, Brahmachari,
Ko e colleghi della Johns Hopkins University, dopo
aver identificato c-Abl quale importante mediatore patogenetico della malattia
di Parkinson, hanno analizzato i risultati degli altri studi condotti su questa
tirosinchinasi e proposto una discussione sul suo ruolo e sulla possibilità di
identificarla come bersaglio molecolare per nuove terapie.
(Collins R. L., et al. c-Abl
and Parkinson’s Disease: Mechanisms and Therapeutic Potential. Journal of Parkinson’s Disease 7 (4): 589-601, 2017).
La provenienza degli autori
è la seguente: Neuroregeneration and Stem cell Programs, Institute for Cell
Engineering, Johns Hopkins University School of Medicine, Baltimore MD (USA); Department
of Neurology, Johns Hopkins University School of Medicine, Baltimore MD (USA);
Department of Physiology, Johns Hopkins University School of Medicine,
Baltimore MD (USA); Solomon H. Snyder Department of Neuroscience, Johns Hopkins
University School of Medicine, Baltimore MD (USA); Department of Pharmacology
and Molecular Science, Johns Hopkins University School of Medicine, Baltimore
MD (USA); Adrienne Helis & Diana Helis Henry Medical Research Foundation, New Orleans, LA
(USA).
L’eziologia della malattia di
Parkinson è stata determinata solo per un’esigua minoranza di forme. La massima
parte dei casi diagnosticati ogni anno (più del 90%) rientra nel novero delle
cosiddette forme “sporadiche”, che si attribuiscono alla combinazione di
condizioni di predisposizione genetica con fattori ambientali. Le forme di
sindromi parkinsoniane o parkinsonismi
attribuite esclusivamente a fattori ambientali non sono comuni e spesso non vi
è la certezza di un unico fattore determinante. Un’eccezione di rilievo storico
è rappresentata dal parkinsonismo post-encefalitico virale seguito ad un’epidemia
dell’inizio del XX secolo; un’altra possibilità è rappresentata
dall’esposizione a sostanze tossiche come l’MPTP, che diede luogo ad un certo
numero di casi presso tossicodipendenti che, negli anni Ottanta, lo assunsero
accidentalmente come contaminante di una sostanza psicotropa di abuso[1].
Le forme monogenetiche di
Parkinson sono rare: la prima identificazione risale al 1997 e riguardava
mutazioni del gene codificante l’α-sinucleina, il principale costituente
dei corpi di Lewy e dei neuriti di Lewy. Dopo questi studi, l’α-sinucleina divenne il
maggiore obiettivo di studio nella patologia del Parkinson, soprattutto al fine
di definire se i suoi aggregati, derivati da cambiamenti conformazionali,
fossero direttamente responsabili dei danni degenerativi o fossero semplici
prodotti di scarto del processo patologico.
In seguito, è stata riconosciuta
la capacità al processo di aggregazione dell’α-sinucleina di
auto-propagarsi, dopo l’avvio, alle cellule nervose indenni all’interno del
sistema nervoso centrale, con un meccanismo simile a quello delle malattie da
prioni. Tale processo potrebbe spiegare l’apparente propagazione ascendente dal
tronco encefalico, descritta da Braak e colleghi. Il
reperto di aggregati di α-sinucleina all’esterno del sistema nervoso
centrale, in particolare nel tratto gastro-enterico di persone che non hanno
ancora sviluppato le manifestazioni cliniche della malattia di Parkinson, ha
dato luogo all’ipotesi che il processo patologico possa avere inizio
nell’intestino, e poi penetrare nell’encefalo per via retrograda, attraverso il
nervo Vago (X).
Oltre alle mutazioni nel gene
dell’α-sinucleina, sono state descritte altre forme genetiche di malattia
di Parkinson, molte delle quali sono rare, a differenza di PARK8, una forma
autosomica dominante della malattia, causata da una mutazione nel gene
codificante la LRRK2 o dardarina.
Recentemente, così ho introdotto un aggiornamento su questo argomento, al quale
rimando il lettore: “Le mutazioni nel gene LRRK2 (leucine-rich repeat kinase 2) sono la più comune causa genetica di
malattia di Parkinson e uno dei maggiori fattori di rischio delle forme
cosiddette sporadiche della malattia. La proteina LRRK2, costituita da 2527
aminoacidi, contiene una piccola GTPasi Ras-simile, un dominio chinasico e vari
domini di interazione proteina-proteina. Una notevole mole di studi condotti in vitro e in vivo, adottando differenti sistemi-modello, ha consentito di
progredire nella conoscenza dei meccanismi molecolari che determinano la
neurodegenerazione indotta da LRRK2”[2].
Il danno neuronico nella
malattia di Parkinson è stato descritto in molte regioni cerebrali, ma la
maggior parte delle nozioni patologiche in nostro possesso deriva dallo studio
dei neuroni a dopamina della parte compatta della substantia nigra mesencefalica, ossia l’area primariamente e
maggiormente interessata dal processo degenerativo. Anche in condizioni
fisiologiche, le cellule dopaminergiche di questo nucleo sono soggette ad uno
squilibrio tra fattori neuroprotettivi, come l’antiossidante glutatione, e lo stress ossidativo, a causa dell’accumulo
di ferro, del metabolismo della dopamina e di altri fattori che le rendono
vulnerabili agli insulti metabolici. Il danno ai neuroni della sostanza nera
nel Parkinson è stato attribuito a disfunzione mitocondriale, a riduzione
dell’abilità della cellula di eliminare le proteine danneggiate o mutate attraverso
il sistema ubiquitina-proteasoma, o da sovraccarico di Ca2+,
probabilmente causata dalla dipendenza dei neuroni dopaminergici nigrostriatali
adulti dai canali del calcio per mantenere la loro autonoma attività di
segnapassi.
Torniamo ora allo studio qui
recensito.
Fin da esperimenti condotti
nel 2010, c-Abl, una tirosinchinasi non recettoriale e un indicatore di stress ossidativo, ha mostrato di
possedere un rilevante potenziale quale futuro e promettente bersaglio
farmacologico nella terapia della malattia di Parkinson.
La forma costitutivamente
attiva di c-Abl, Bcr-Abl, ha una lunga storia nella leucemia mieloide cronica
(LMC) e nella leucemia linfocitica acuta (LLA), ma il ruolo di c-Abl nella
malattia di Parkinson e in altre rilevanti malattie neurodegenerative è rimasto
fino a tempi recentissimi del tutto sconosciuto. Recentemente, gli autori di
questo studio con altri colleghi hanno identificato e validato c-Abl quale
importante mediatore dei processi patologici degenerativi parkinsoniani. In
questa sperimentazione c-Abl attivata emerge come un elemento comune per vari
induttori di stress ossidativo
associati alla malattia di Parkinson e rilevanti sia per le forme sporadiche sia per le forme familiari delle sindromi
parkinsoniane e di altre α-sinucleinopatie.
La discussione sviluppata
dagli autori dell’articolo sul ruolo di c-Abl nella patologia del Parkinson e
sugli ultimi risultati sperimentali relativi al suo ruolo di bersaglio
farmacologico, per i cui contenuti si rimanda alla lettura integrale del testo
originale, include anche la proposta di impiegare c-Abl come nuovo biomarker.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani
per la correzione della bozza e invita alla
lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella
sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina
“CERCA”).
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